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60 anni
dai trattati di Roma Capire gli errori commessi e
andare avanti Di
Corrado De Rinaldis Saponaro Quando si pensa a
cos’era il nostro continente prima dei Trattati di Roma, si deve ricordare la
catastrofe della seconda guerra mondiale e a una storia in cui, per più di 5
secoli si erano riprodotti conflitti e violenze di ogni genere. Rispetto a
tutto questo i sessant’anni successivi alla firma dei Trattati, appaiono un
paradiso di pace, tranquillità e benessere. Quando si discute di limiti e
difetti dell’Unione europea, bisogna almeno tener fermo questo riferimento:
prima dell’Unione, l’Europa è stata straziata da ogni lotta al suo interno,
fosse essa cristiana, carolingia, assolutista, repubblicana, non è mai stata
capace di mettere la parola fine ai suoi conflitti, fino a quando non si è
posta l’obiettivo dell’Unità. I nazionalismi che avversano il progetto
europeo, non sono delle novità, semmai il risveglio di pulsioni e ambizioni
frustrare, illuse di poter finalmente avere una nuova occasione. I sei paesi
fondatori della Ceca, escluso il piccolo Lussemburgo, avevano già
abbondantemente subito la loro epopea nazionalista e solo grazie alla
comunità economica si distaccarono profondamente dal loro passato. Oggi un
crollo dell’Unione europea riempierebbe quel solco e sarebbe allora facile
tornare interamente in un clima di odio fra piccoli e medi Stati che solo dai
Trattati di Roma in avanti abbiamo saputo archiviare. Ma basta un piccolo
passo ed ecco che precipitiamo. Per questo è molto importante che l’Olanda
abbia già dato un segnale chiaro di tenuta, arginando i movimenti separatisti
e dobbiamo confidare che anche la Francia e poi la Germania confermino questa
tendenza. In Italia i repubblicani concorrono come nel 1956, alla costruzione
di una mentalità e di una politica europeista capace di guardare avanti. È
chiaro che né nel 1956, come nemmeno nel 1987, nessuno si immaginava un
repentino crollo dell’Urss e del blocco socialista dell’est. Semmai il
problema era quello di non venire travolti da quel blocco. Era dunque
inevitabile che l’Unione non si mostrasse preparata su un’ipotesi di
integrazione dei paesi dell’est al suo interno e soprattutto sulle
conseguenze intercontinentali di un evento del genere. Proporre oggi le due
velocità sembrerebbe l’uovo di colombo, non fosse che i paesi dell’est con le
stesse regole comunitarie crescono economicamente più dei paesi mediterranei,
mentre restano indietro sotto il profilo dei diritti e delle garanzie civile.
Il problema è dunque molto serio perché proponendo due velocità o come dice
il presidente del consiglio italiano, ognuno cammini secondo il suo passo, si
rischia davvero di vedere mete ed obiettivi comuni sfaldarsi rapidamente e
che la doppia velocità diventi il volano per disintegrare l’Unione in modo
definitivo. Dobbiamo ritrovare tutti i 27 paesi trainati dalle forze
europeiste la capacità di capire gli errori commessi porre rimedio
velocemente e rinunciare agli egoismi nazionali perché non è in gioco il
futuro dell’Unione ma quello di tutti gli Stati. Rendiamo onore
agli statisti che hanno pensato e fondato l’Europa. Viva l’Europa. Roma, 23
marzo 2017 |
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